IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale  p.n.
 nei confronti di:
     1)  Mattiacci  Giovanni,  nato  a  Taranto  il 27 settembre 1963,
 residente a S. Giorgio Jonico, via M. Meucci n. 17/A, capo  di  terza
 classe, attualmente nella forza assente di Maricentro Taranto;
      2)  Perrini  Alessandro,  nato  a  Messina  il 9 settembre 1969,
 residente a La Maddalena, piazza Umberto, 5, tenente di  vascello  in
 servizio presso Marinferm La Maddalena; imputati:
      Mattiacci  di  peculato  militare aggravato continuato (artt. 81
 cpv. c.p., 47, n. 3 e 215  cpmp),  perche',  capo  di  terza  classe,
 incaricato  di  funzioni di contabile agli assegni e cassiere di nave
 Perseo, avendo per ragioni del suo servizio il  possesso  del  denaro
 appartenente  all'amministrazione militare, con piu' azioni esecutive
 del medesimo disegno criminoso, facendo figurare  presente  personale
 militare  non  piu'  in  forza  alla  nave, perche' gia' trasferito o
 congedato, se l'appropriava in misura stimata pari a L. 34.716.255. A
 bordo di nave Perseo nel periodo giugno-settembre 1992;
      Mattiacci e Perrini di concorso in peculato  militare  aggravato
 continuato  (artt. 81 cpv. c.p., e 110 47, n. 3 e 215 cpmp), perche',
 Perrini Alessandro, tenente di vascello  incaricato  di  funzioni  di
 capo servizio amministrativo di nave Perseo, Mattiacci Giovanni, capo
 di  terza  classe  con  funzioni di contabile agli assegni e cassiere
 presso la citata nave,  avendo  per  ragioni  del  loro  servizio  il
 possesso  di  denaro  appartenente  all'amministrazione  militare, in
 concorso tra loro e con piu' azioni esecutive  del  medesimo  disegno
 criminoso,  facendo  figurare presente personale militare non piu' in
 forza   alla   nave,   perche'   gia'   trasferito  o  congedato,  se
 l'appropriavano in misura pari a L.  207.212.076.  A  bordo  di  nave
 Perseo, nel periodo dall'ottobre 1992 al marzo 1994.
   Per  Perrini Alessandro con l'ulteriore aggravante, di cui all'art.
 58 cpmp, per essere concorso nel reato con l'inferiore.
   Premesso che questo giudice dell'udienza preliminare e'  lo  stesso
 magistrato  che,  in  veste  di  giudice  per le indagini preliminari
 emise, nei confronti degli imputati sopra  indicati  e  in  relazione
 agli  stessi  fatti  in rubrica specificati, ordinanze applicative di
 misure cautelari  personali,  e  precisamente  quella  degli  arresti
 domiciliari  nei confronti di Mattiacci Giovanni (ordinanza n. 33 del
 17 agosto 1994) e quella della  custodia  cautelare  in  carcere  nei
 confronti  di  Perrini  Alessandro  (ordinanza n. 52 del 12 settembre
 1994.
                                Osserva
   Con sentenza n. 432 del 6 settembre 1995, la  Corte  costituzionale
 innovando  la  precedente  giurisprudenza  al riguardo, ha dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  34,  secondo  comma,  del
 codice  di  procedura  penale "nella parte in cui non prevede che non
 possa partecipare  al  giudizio  dibattimentale  il  giudice  per  le
 indagini   preliminari  che  abbia  applicato  una  misura  cautelare
 personale nei confronti dell'imputato".
   La decisione della Corte che si affianca a numerose altre sentenze,
 sull'art. 34, secondo comma, del codice del  1988  (n.  401/1990,  n.
 496/1990,  n.  502/1991,  n.  124/1992,  n. 186/1992, n. 399/1992, n.
 439/1993, n. 453/1994, 455/1994), rappresenta una  novita',  poiche',
 nellla  "convinzione di dover affermare un piu' pregnante significato
 dei valori costituzionali del  giusto  processo  (e  del  diritto  di
 difesa   che   ne   e'   componente   essenziale)"   e  tenuto  conto
 dell'intervenuto "mutamento del  quadro  normativo  a  seguito  della
 recente legge 8 agosto 1995, n. 332, la quale, accentuando ancor piu'
 il  carattere  di  eccezionalita'  dei provvedimenti limitativi della
 liberta'  personale   disposti   prima   della   condanna,   comporta
 indubbiamente  una maggior incisivita' dell'apprezzamento del giudice
 sul punto", ha affermato il principio che l'attivita' del giudice per
 le indagini preliminari, allorche' sia chiamato a disporre una misura
 cautelare, comporta "la formulazione  di  un  giudizio  non  di  mera
 legittimita'  ma  di  merito (sia pure prognostico e allo stato degli
 atti sulla colpevolezza dell'imputato".
   Indubbiamente, l'adozione di una  misura  cautelare  personale  del
 tipo  di  quelle  adottate da questo giudice, impone in base all'art.
 273 del c.p.p., come modificato dall'art. 3 della legge n.  332/1995,
 la  verifica rigorosa della sussistenza degli indizi di colpevolezza,
 che debbono possedere i connotati della gravita', che come si  ricava
 dalla  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  e della Corte di
 cassazione "postula una obiettiva  precisione  dei  singoli  elementi
 indizianti,   che   nel   loro   complesso  consentono  di  pervenire
 logicamente ad un giudizio che, pur senza  raggiungere  il  grado  di
 certezza   richiesto  per  la  condanna,  sia  di  alta  probabilita'
 dell'esistenza del reato e della  sua  attribuibilita'  all'indagato;
 indizi, quindi, capaci di resistere ad interpretazioni alternative".
   Orbene, questa attivita' del giudice per le indagini preliminari e'
 tale,  da  determinare,  ad  avviso dello scrivente, quella "forza di
 prevenzione" che  va  intesa,  secondo  quanto  la  stessa  Corte  ha
 affermato,  come  "quella  naturale  tendenza a mantenere un giudizio
 gia'  espresso  o  un  atteggiamento  gia'  assunto  in altri momenti
 decisionali  dello  stesso  procedimento",  che  condiziona  o   puo'
 condizionare  il giudizio, ingenerando cosi' dubbi sull'imparzialita'
 e la  serenita'  della  valutazione  che  quello  stesso  giudice  e'
 chiamato  ad  effettuare,  ancora  una  volta,  in  sede  di  udienza
 preliminare.
   Ed a proposito della natura dell'attivita' del g.u.p. non puo'  non
 rilevarsi come la legge 8 aprile 1993, n. 105, con l'eliminazione del
 requisito  della  "evidenza"  della  causa  di  proscioglimento quale
 presupposto per non disporre il rinvio a giudizio  dell'imputato,  ha
 modificato profondamente la regola di giudizio stabilita, in origine,
 dall'art.  425 del codice di rito ed ha ampliato i poteri conoscitivi
 del g.u.p., trasformando l'udienza preliminare da semplice momento di
 verifica della non manifesta infondatezza della  pretesa  accusatoria
 in momento di giudizio "pieno" sia pure allo stato degli atti.
   La  diversa,  piu' incisiva funzione dell'udienza preliminare si va
 ora affermando nella  stessa  giurisprudenza  (Corte  di  appello  di
 Napoli,  8  marzo 1995, imputato Villanova e altri, in archivio della
 nuova procedura penale n. 3/1995, 465 seguenti) che riallacciandosi a
 pronunce della Corte  costituzionale  e  della  Corte  di  cassazione
 ampliative  del  potere conoscitivo del g.i.p. (Corte costituzionale,
 15 marzo 1994, n. 66; Corte costituzionale, 11  marzo  1993,  n.  82;
 Cassazione  penale, 26 febbraio 1992), ha ritenuto concludere che "di
 fatto, si e' pervenuti alla quasi totale  omogeneita'  delle  formule
 conclusive  previste  dall'art. 425 c.p.p. con quelli di cui all'art.
 530, anche senza che sia fatto necessario ricorso al rito  abbreviato
 (con  gli  ovvi,  conseguenziali  rischi  in  ordine alla limitatezza
 dell'appellabilita'); per modo tale che resti garantito il  rinvio  a
 giudizio  solo nei casi in cui la richiesta del p.m. risulti sorretta
 da accuse realmente significative di responsabilita'".
   Nella stessa sentenza si legge: "Sicche' in definitiva, allo stato,
 puo' affermarsi che il g.i.p. non e' solo piu' di un giudice di rito,
 ma in quanto obbligato ad un serio controllo sulla responsabilita' e,
 quindi, ad una pregnante analisi dell'attivita' del p.m., e' l'intero
 merito a dover essere sottoposto al suo esame;  nell'ambito  di  tale
 potere-dovere,  egli  valutera'  le  fonti  di  prova  ai fini di una
 verifica della sussistenza di  tutti  gli  elementi  costitutivi  del
 reato,  siano  essi di natura oggettiva che soggettiva, tenendo anche
 conto della cause scriminanti dell'antigiuridicita' e delle cause  di
 estinzione  del  reato  (...)  fino ad addivenire ad una pronuncia di
 proscioglimento non solo in caso di prove di innocenza o  di  assenza
 di  prove  d'accusa, ma anche in presenza di prove contraddittorie od
 insufficienti".
   Tra il giudizio reso  all'udienza  preliminare  e  quello  reso  al
 dibattimento,  dunque,  la  differenza  non  e' qualitativa (entrambi
 richiedono  un   accertamento   del   "merito"   della   causa),   ma
 quantitativa,  posto  che  il  primo e' dato "allo stato degli atti",
 ossia sulla base degli elementi contenuti  nel  fascicolo  del  p.m.,
 eventualmente  integrato  dagli  elementi  "a  discarico"  presentati
 direttamente al giudice dal difensore dell'imputato (art.  38,  comma
 2-bis,  e  2-ter,  disp. att.   c.p.p., introdotti dall'art. 22 della
 legge n. 332/1995), nonche' da un giudice privo di autonomo potere di
 iniziativa probatoria, essendogli riconosciuta unicamente la facolta'
 di  indicare  alle  parti temi nuovi o incompleti "sui quali si rende
 necessario acquisire ulteriori informazioni", per  l'ipotesi  in  cui
 esaurita  la  discussione,  reputi  di  non poter decidere (art. 422,
 primo comma, c.p.p.).
   Pertanto, tutto cio' che ha affermato la  Corte  costituzionale  in
 relazione  all'imparzialita'  del  giudice del dibattimento non puo',
 non valere per il giudice dell'udienza preliminare.
   Rileva,   ancora,   questo   giudice   che   alla   stregua   delle
 considerazioni  svolte  non  puo' considerarsi compromesso il diritto
 della difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione);,  "diritto
 inviolabile in ogni stato e grado del procedimento".
   In   effetti,   affinche'   anche  nell'udienza  preliminare  siano
 rispettati i diritti delle parti, occorre che  a  celebrarla  sia  un
 giudice   in  nessun  modo  "prevenuto"  e  che  non  abbia  espresso
 apprezzamenti  sui  risultati  delle  indagini  preliminari,  che  in
 qualche  modo  determinino un'anticipazione suscettibile di minare la
 sua imparzialita'.
   Quest'esigenza diventa tanto piu' evidente allorquando si considera
 che gli "indizi" che il giudice e' stato  chiamato  a  valutare  come
 g.i.p.   ai   fini   dell'emissione  del  provvedimento  di  custodia
 cautelare, sono, come nel caso in esame, quegli stessi  elementi  che
 assumeranno   valore   di   "prove",   nel   prosieguo   dell'udienza
 preliminare, nell'ipotesi di richiesta da  parte  degli  imputati  di
 patteggiamento  o  di  giudizio  abbreviato,  e comunque come "prove"
 saranno  apprezzati  da  questo  g.u.p.  per   decidere   in   merito
 all'eventuale  immediata  declaratoria  di  non punibilita' (art. 129
 c.p.p.), al proscioglimento dell'imputato (art. 425 c.p.p.) o al  suo
 rinvio a giudizio (art. 429 del c.p.p.).
   E  pertanto,  appare  evidente  come  la  menzionata  "forza  della
 prevenzione", derivante dall'avere  lo  stesso  giudice,  durante  le
 indagini  preliminari,  disposto  una  misura cautelare personale nei
 confronti  degli  imputati,  sia  destinata  a  riflettersi  sul  suo
 giudizio,  potendone  inficiare  l'imparzialita' o comunque potendolo
 fare apparire non imparziale.
   Non puo' non tenersi conto, a tal  proposito,  che  il  giudice  il
 quale  pronunciasse  sentenza  di  non luogo a procedere nei riguardi
 dell'imputato da lui stesso  precedentemente  sottoposto  a  custodia
 cautelare,  farebbe  sorgere  in  capo  al prosciolto il diritto alla
 riparazione per l'ingiusta misura subita, ai  sensi  dele'l'art.  314
 del c.p.p.
   Ma  anche  in  caso di adozione di altre misure cautelari personali
 (non comportanti diritto alla riparazione), la valutazione favorevole
 dei gravi indizi di colpevolezza  e  la  ritenuta  sussistenza  delle
 esigenze  cautelari  sembrano  elementi  piu' che sufficienti per non
 aspettarsi dal giudice, proprio  per  la  "forza  della  prevenzione"
 evidenziata  dalla  Corte  costituzionale,  un  ripensamento tale, da
 indirizzarne il giudizio verso il proscioglimento piuttosto che verso
 il rinvio a giudizio dell'imputato.
   Tanto  premesso,  e  tenuto  conto  del  fatto  che  le  cause   di
 incompatibilita'   sono   tassative  e  quindi  non  suscettibili  di
 applicazione  analogica,  e  non  potendo  percio'   questo   giudice
 astenersi,  si  rende  necessario  sollecitare una espressa pronuncia
 della Corte costituzionale sulla compatibilita' o meno  del  giudice,
 che ha emesso ordinanze applicative di misure cautelari personali nei
 confronti degli stessi e per gli stessi fatti, apparendo la questione
 rilevante, poiche' attiene ai requisiti di capacita' del giudice e si
 riflette sulla corretta costituzione del rapporto processuale, la cui
 inosservanza  comporta  nullita' assoluta e insanabile ai sensi degli
 artt.  178,  lettera  a)  e  179,  primo   comma,   c.p.p.,   e   non
 manifestamente infondata per le considerazioni sopra svolte.
   In conclusione, l'art. 34, secondo comma, c.p.p., quale ridisegnato
 dai   numerosi  interventi  della  Corte  costituzionale,  appare  in
 contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 24,  secondo  comma,  della
 Costituzione,  che  impongono  un  trattamento  ugualitario, sereno e
 imparziale del giudicando e il pieno  rispetto  del  suo  diritto  di
 difesa nell'ambito del c.d. "giusto processo", nella parte in cui non
 prevede  che  non  possa  partecipare  all'udienza  preliminare  come
 giudice lo stesso  magistrato  che,  come  giudice  per  le  indagini
 preliminari, abbia applicato nei confronti dello stesso imputato, per
 lo stesso reato, una misura cautelare personale.